Vivere la casa passiva
in Voci

Cinque anni fa a Cesena nasceva la Casa Studio Passivhaus, primo esempio in Italia di applicazione del protocollo Passive House su un aggregato edilizio esistente. Ne parliamo con i progettisti, Piraccini + Potente Architettura, per valutarne i risultati nel tempo.
Lo studio, fondato da Matteo Piraccini e Stefano Potente, lavora da anni sull’integrazione tra tecnologia e sostenibilità, con progetti che interpretano il contesto come risorsa e occasione di rigenerazione. Casa Studio Passivhaus incarna pienamente questa visione: un edificio capace di coniugare rigore tecnico, attenzione ambientale e identità dei luoghi.
“Casa Studio Passivehouse” è la prima applicazione del protocollo Passive House su un aggregato edilizio esistente in Italia. Qual è stata la sfida principale?
È stata far convivere un edificio iper-efficiente con costruzioni limitrofe inefficienti dal punto di vista energetico. L’aggregato su cui siamo intervenuti risale al dopoguerra: edifici privi di pregio architettonico, realizzati dopo i bombardamenti che avevano colpito il ponte sul Savio.
Abbiamo lavorato in due fasi: prima su un nucleo e poi sull’ edificio accanto (Casa Passiva XL). Non potendo demolire i muri comuni, abbiamo dovuto risolvere con precisione tutti i ponti termici, utilizzando materiali altamente performanti come l’Aerogel. Dal punto di vista architettonico, invece, ci siamo trovati in un contesto privo di riferimenti significativi: non centro storico, ma neppure periferia. Abbiamo allora guardato all’architettura dei lungofiume italiani: fronti austeri sulla strada e facciate più libere verso il fiume, dove nel tempo si sono stratificati volumi e superfetazioni. Abbiamo reinterpretato questo linguaggio,trasformando la spontaneità delle superfetazioni in un elemento progettuale: i padiglioni che si affacciano sul Savio, diversi per forma e funzione, diventano la parte più viva e riconoscibile dell’edificio.

Dopo cinque anni di utilizzo, quali risultati avete riscontrato in termini di comfort interno?
I benefici rispecchiano pienamente le previsioni di progetto. L’umidità resta costante intorno al 60%, le temperature interne sono uniformi in ogni stagione e la qualità dell’aria percepita è sempre elevata: un segno evidente dell’efficienza dell’involucro.

In un contesto italiano dove gran parte del patrimonio edilizio è inefficiente, quali strategie ritenete più efficaci per ridurne l’impatto ambientale?
La prima distinzione va fatta tra centro storico e resto della città. I centri storici rappresentano una minima parte del patrimonio e vanno tutelati con interventi conservativi, senza cercare prestazioni energetiche impossibili. Diverso il discorso per gli edifici degli anni ’60 e ’70, che costituiscono la maggioranza: lì la via più sensata è la demolizione e ricostruzione. È la soluzione più efficace non solo per l’efficienza energetica, ma anche per la sicurezza sismica. Dove invece non è possibile demolire, bisogna puntare tutto sull’involucro: isolamento termico di pareti, tetti e pavimenti, e installazione di serramenti ad alte prestazioni. Se l’involucro è efficiente, l’energia immessa resta all’interno e anche un impianto tradizionale funziona con consumi minimi.
Purtroppo, con i costi di costruzione attuali e la fine del Superbonus, il mercato è in difficoltà.
Servirebbe reintrodurre incentivi strutturali, anche semplicemente tornando ai livelli pre-Superbonus, con detrazioni del 65% per l’efficientamento e dell’85% per la demolizione e ricostruzione.

Quanto sono stati cruciali i serramenti nella costruzione della casa passiva?
Sono stati fondamentali, ma ancora più decisivo è stato il montaggio: la tenuta all’aria dipende da come vengono realizzati gli ancoraggi tra infisso, falso telaio e muro. La collaborazione con Edilpiù è stata ottima: un ufficio tecnico molto preparato, montatori esperti e un confronto continuo che ci ha permesso di raggiungere pienamente gli obiettivi di progetto.

Leggi anche l’intervista su Openings n. 1| 2020