Fra musica e architettura
Onde, ritmi e frequenze
di Chiara Tartagni – foto di Gianluca Gasperoni
Con Tracce dell’abitare ci hanno fatto scoprire il legame fra i suoni e gli ambienti. Abbiamo conversato con Gaia Dallera Ferrario, artista multimediale e designer, e Lorenzo Palmeri, architetto e compositore.
Nella vostra visione, come si relazionano spazio sonoro e spazio architettonico?
Il rapporto fra musica e architettura nasce innanzitutto dalla fisicità dei materiali stessi, dai volumi, dai vuoti. La materia ha un proprio modo di trasportare il suono. Concetti come onda e frequenza sono intercambiabili fra tutte le discipline artistiche: architettura e musica hanno un linguaggio comune, in cui si parla di ritmo, cadenze, pause, vuoti e pieni. Secondo Johann Wolfgang Goethe, «l’architettura è musica congelata». Ma in realtà, volenti o nolenti, è un tema di cui devono occuparsi tutti, perché quando si entra in uno spazio, che sia un ristorante o una chiesa, si subisce questa relazione.
Da quali meccanismi è guidata l’esperienza di chi vive questi spazi?
Ciò che hanno in comune musica e architettura è l’esperienza immersiva. Kandinskij si diceva geloso della musica, perché la musica fa quel passo verso l’introspezione che la pittura non potrebbe mai fare. L’architettura a sua volta volge lo sguardo verso l’interiore, crea volumi interni fruibili anche dall’esterno. Un tempo si diceva anche che la musica fosse l’arte del tempo e l’architettura quella dello spazio. Ma sempre Kandinskij ha annullato questo assunto, dicendo che il punto è la forma più concisa del tempo. Nel suo libro Come funziona la musica, David Byrne dice una cosa curiosa: il punk non avrebbe mai potuto nascere in una cattedrale e i canti gregoriani non avrebbero mai potuto nascere in un pub, proprio per l’acustica dei luoghi. Il suono riverberato sarebbe stato completamente illeggibile. Ogni luogo ha una propria frequenza. Si può fare un gioco quando si entra in una stanza: emettere una “u”, finché quella lettera non entra in risonanza con la stanza stessa. E quella frequenza influenza e attraversa tutti coloro che si trovano all’interno.
Se doveste collegare grandi architetti a grandi musicisti, a cosa pensereste?
In Gödel, Escher, Bach. Un’eterna ghirlanda brillante Douglas Hofstadter dice che le partiture di Bach sono vere e proprie architetture: gli accordi possono essere visivamente dedotti anche per linee trasversali. È poi impossibile non citare Iannis Xenakis, grandissimo compositore e architetto che ha usato paradigmi matematici per creare musica dalle architetture. Per lettura sinestesica e di strutture, possiamo pensare che Renzo Piano o Le Corbusier abbiano un determinato “sapore” musicale. Ma associazioni simili sono difficili, anche se con la musica contemporanea vengono sperimentate. In un certo senso, Brian Eno potrebbe abbracciare entrambe le discipline, poiché studia musica appositamente per certi ambienti.
Si può trovare un legame con il Minimalismo, con Philip Glass e Terry Riley. Anche le grandi correnti che hanno segnato alcuni momenti storici sono intercambiabili fra le varie discipline artistiche. Le vere fondamenta sono da cercare nel legame fra le proporzioni musicali e quelle architettoniche. Leon Battista Alberti raccomandava agli architetti di studiare musica, perché le regole di composizione che avrebbero imparato sarebbero state molto utili nella progettazione.
Cosa significa per voi la “soglia”?
In Occidente siamo abituati a viverla come il varco di una porta, che si chiude sul passato e si apre sull’inaspettato. In realtà, la soglia è un attraversamento molto più graduale, naturale, intimo. Presume un vasto cambiamento interiore. La soglia può anche essere lunghissima e durare tutta la vita. Può significare azione: non esiste finché non si compie il gesto di attraversarla. In Oriente è diverso. Se pensiamo all’ingresso del maestro della Cerimonia del tè in Giappone, la porta è bassa e stretta: tutti, perfino l’imperatore, devono entrare disarmati e chini, quindi spogliati di tutte le vesti terrene. Mentre all’ingresso delle moschee c’è una pietra che non viene mai consumata dai passi: è un terreno neutro, in cui lasci fuori il mondo.
Ti è piaciuto?
Condividilo sui social oppure compila il breve form qui sotto per iscriverti alla nostra newsletter, in omaggio riceverai la copia integrale di OPENINGS (in pdf) e resterai aggiornato sulle prossime uscite. Non preoccuparti, non ti sommergeremo di email non desiderate e potrai cancellare la tua iscrizione in ogni momento. Per approfondire il tema della privacy e del trattamento dei dati personali, clicca qui >.