Come un accordo
Il suono di una stanza
di Chiara Tartagni – foto di Gianluca Gasperoni
Un’abitazione pensata per essere la soglia fra privato e conviviale, fra silenzio e armonia melodica. È quella di Devis Tagliaferri, compositore e musicista, che ci ha raccontato il concept alla base della progettazione.
Nell’ideazione del tuo spazio abitativo, hai tenuto conto del tuo lavoro e della tua passione?
Quando abitavo con i miei genitori, aspettavo con ansia di andare in sala prove a comporre, fare musica e stare con gli amici. Oggi i ritmi sono diversi: butto giù le idee alla chitarra o al piano e il testo può venirmi in mente mentre do da mangiare a mio figlio. Poi porto quell’idea in studio. Quindi in questa casa, aperta e circolare, non ho voluto una sala prove, che oggi dev’essere per forza mobile. La musica dev’essere possibile in ogni angolo. Mi è capitato di registrare canzoni in bagno perché c’è una buona acustica! Il giardino d’inverno permette alla musica di unire le persone, così come il mondo interno con quello esterno, in uno scambio continuo. A ogni stanza corrisponde un’ispirazione diversa, un suono preciso.
In questa casa convivono infatti forme e colori di paesi lontani. La musica e l’architettura li mettono in armonia?
Mia moglie e io abbiamo passioni diverse e abbiamo cercato di unirle. Se pensiamo alle sette note, ciascuna è unica e definita. Ma l’accordo le mette insieme in una creazione speciale. La sfida di composizione della casa è stata la stessa. Abbiamo dato un’armonia a stile shabby, infissi minimal, carta da parati jungle, legno, strumenti musicali, alluminio. E abbiamo sempre cercato di mantenere un contatto fisico e visivo fra casa e natura. Quando i serramenti si chiudono, la casa diventa un cubo metallico, ermeticamente sigillato: un accordo barré. Se sono in modalità frangisole mi fanno pensare a un accordo armonico, mentre se sono totalmente aperti li associo a un accordo libero.
Cosa vuol dire per te condividere la musica con altre persone?
La dimensione conviviale è fondamentale, anche in casa. Posso essere io a condividere la mia musica, così come può farlo un ospite. È un po’ come fare una cena a base di tapas, con tanti assaggi da gustare e passare al proprio vicino. Io suono da 25 anni e ho sempre alternato cover e musica inedita. Le mie canzoni mi coinvolgono di più, ma, essendo meno famose di altre, spesso manca il sostegno del pubblico. Con le cover, la risposta è sempre maggiore e mi diverto a cambiare vestito alle canzoni celebri, in modo da dare la mia interpretazione personale.
Le tue influenze musicali sono ricchissime. Se dovessi pensare ai tuoi gruppi preferiti come ad architetture, cosa ti verrebbe in mente?
Sono stato adolescente negli anni ’90: sono cresciuto con Nirvana, Stone Temple Pilots, Pearl Jam, Alice in Chains, Soundgarden. Pensando a questi gruppi di Seattle, mi vengono in mente i classici capannoni industriali con ferro, pietra e legno. I riff graffianti
di chitarra si uniscono alle stesure lineari del brano, come nello stile industriale. Quando entra la voce, l’armonia ammorbidisce le forme, come il legno. Ho poi spostato la mia attenzione su pop, soul e funk: John Legend, Ed Sheeran, Harry Styles, Maroon 5, Pharrell Williams. Artisti che sanno toccare più corde, come io ho cercato di fare nella mia casa con dettagli cromatici e geometrici. Mi ha ricordato la Spagna Verde, dove si trovano strutture fuori dal comune immerse nella ricchezza del paesaggio naturale.
A cosa associ il concetto di “soglia”?
La vedo come punto di arrivo, di partenza e di sosta. Quando torno a casa, è un porto sicuro. Ecco perché sullo zerbino di casa c’è la stella polare: qui mi ri-stabilizzo dopo essere stato nella grande centrifuga del mondo. A volte è un limite da attraversare per mettersi in gioco e trovare l’adrenalina che accende nuove micce. Può essere anche una finestra davanti a cui sostare, da cui osservare lo scorrere del tempo.
Una fermata di meditazione in attesa del treno giusto.
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