Costruire la cultura: Renzo Piano World Tour
Il Renzo Piano World Tour
di Chiara Tartagni
“Il costruire è fra le più nobili arti mai portate avanti dall’essere umano, in ogni cultura e nazione. Una sensibilità molto cara a Renzo Piano, che ha saputo fare proprie ed elaborare le esperienze e la saggezza millenaria di popoli assai distanti fra loro. Da qui l’idea: farsi guidare dalle architetture di Piano (e non solo) in un viaggio intorno al mondo.”
«Il viaggio è un po’ come andare in una grande biblioteca a cercare un libro: è vero che cerchi quel libro, ma cercando quel libro ne trovi molti altri»: parola di Renzo Piano. Dal 2017 l’associazione culturale HABITAT2020 e ProViaggiArchitettura collaborano con la Fondazione Renzo Piano all’istituzione di un premio per la miglior tesi di laurea nella progettazione relativa alla rigenerazione di aree periferiche italiane. Un progetto che si è evoluto ed espanso, fino a comprendere la pubblicazione di un catalogo per ciascuna edizione, a cura dei partecipanti. La prima edizione ha visto vincere Silvia Pellizzari, studentessa di Ingegneria Edile-Architettura dell’Università di Padova, che ha potuto beneficiare di un premio unico nel suo genere: quaranta giorni di viaggio per scoprire le architetture di Renzo Piano in giro per il mondo. Così nasce ufficialmente il Renzo Piano World Tour. A cadenza annuale, il premio prevede un diverso numero di vincitori e differenti tappe per ogni edizione, dando così la possibilità di conoscere non solo le opere di Renzo Piano e del Renzo Piano Building Workshop, ma anche dei grandi maestri dell’architettura. Parlano chiaro i numeri della seconda edizione: 3 architetti, 3 continenti, 10 fusi orari, 18 città e 40 giorni all’insegna dell’avventura, in ogni accezione del termine. Alla fine del viaggio, il giorno speciale in cui Ricardo Fernández González, Ioanna Mitropoulou e Thomas Pepino hanno incontrato Piano presso l’ufficio RPBW di Genova. Dall’Acropoli di Atene al Centro Botín di Santander, dal Centre Culturel Tjibaou in Nuova Caledonia al museo d’arte di Harvard a Boston, fino all’Opera House di Sydney: un viaggio che ha dato ai tre architetti, finalmente cittadini del mondo, uno sguardo sensibile alle potenziali meraviglie di ogni cosa. La necessità del viaggio è non a caso uno dei principi esplicitati fin dalla nascita della Fondazione Renzo Piano: «Lo studente e il giovane architetto devono viaggiare per poter progettare. Chi non viaggia o non sa non sarà mai in grado di progettare, l’architetto deve essere in continua formazione. Deve saper valutare e criticare l’architettura costruita». Avvicinare in prima persona opere di cui si è semplicemente letto e studiato per anni è un privilegio e un arricchimento, ancora più intenso nel momento stesso dell’esperienza.
Una memoria che resta profondamente, intimamente sensoriale: «Sulla pelle, dopo mesi dal ritorno, quando chiudo gli occhi sento ancora la musica delle cicale e il caldo umido del Texas. Khan riposa tra gli alberi, l’insegnamento è “respirate l’architettura”», racconta Thomas Pepino, che avvicina l’opera all’emozione. «La matericità di Ando, la fisiologia architettonica di Rogers, la cultura Rossiana, Nouvel, Hadid, Big, Gropius, Le Corbusier, Mies, Wright, Foster, e moltissimi altri architetti incontrati durante il RPWT 2018, mi hanno fatto capire che città, architetture, luoghi e non luoghi, spazi e paesaggi mai visti dal vivo, stabiliscono un legame tra l’individuo e le sensazioni/ emozioni che essi provocano, dove la tensione sta nella logica del progetto, figlio di una ratio, in cui l’emozione prodotta non è contemplabile sulla carta ma percepibile solo nella realtà». Un approccio aperto e libero all’“altro da noi” che secondo Renzo Piano fa innegabilmente parte dell’identità del nostro paese. «La storia dell’Italia è di un Paese in mezzo al Mediterraneo che ha sempre accolto nel bene e nel male, un diverso modo di ragionare non ci appartiene. Quindi la bellezza dell’Italia non è solo ambientale, non è solo quella del paesaggio, ma è anche la bellezza più profonda, quella che non si vede, quella che viene in superficie solo ogni tanto. Tutto questo, però, se ci si abitua, non si capisce più. E allora i giovani non è male che si allontanino, non fosse altro che prendendo le distanze e guardando lontano capiscono che essere nati in Italia è una grande fortuna», dice Renzo Piano intervistato da Mariagrazia Barletta. È un «andarsene per tornare», un viaggio in cui anche gli imprevisti possono costituire preziosissime conquiste, per poi riportare al punto di partenza che si fa di nuovo traguardo. Non solo: è un’esperienza di squadra che aiuta ad avere più coraggio, «perché quando si lavora in gruppo c’è una rete di salvezza». Pensando ai giovani e ai loro talenti, l’architetto genovese formula un augurio che potrebbe essere universale: che possano proprio esprimersi con coraggio, ma anche ascoltare con umiltà. Perché l’architettura non è una professione “innocente”: «È pericoloso il nostro mestiere, è un’arte pubblica la nostra, quindi è un’arte in cui non si deve sbagliare, perché il tuo sbaglio va a pesare su tutti».
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