Architettura e sostenibilità. In conversazione con l’architetto Ghisellini
in Voci

All’interno del ciclo “Incontri sulla sostenibilità”, promosso da Finstral in collaborazione con ProViaggiArchitettura, l’architetto Tomas Ghisellini porta la testimonianza dello studio Ghisellini Architetti di Ferrara, sulla sostenibilità interpretata più che altro buona progettazione, ovvero equilibrio tra intelligenza compositiva, responsabilità del costruire e uso consapevole della tecnologia, infissi inclusi. Ghisellini Architetti è noto per l’approccio progettuale che unisce ricerca compositiva, attenzione al contesto e responsabilità ambientale, con una particolare cura per la relazione tra architettura e paesaggio.

Architetto Ghisellini, il tema della sostenibilità è ormai onnipresente. Qual è la sua lettura personale di questo concetto?
È un termine talmente abusato che rischia di perdere significato. Io preferisco pensare la sostenibilità come sinonimo di buona progettazione. Quando i nostri predecessori orientavano una parete per sfruttare le correnti naturali o l’irraggiamento solare, stavano già progettando in modo sostenibile. Oggi invece il discorso sembra ridotto alla sola tecnologia: cappotti, fotovoltaico, materiali riciclati… Tutto utile, ma secondario. La vera sostenibilità nasce dalla ragionevolezza progettuale, dal saper leggere e usare le risorse naturali del luogo.

E in fase di cantiere, come si traduce questa attenzione?
Il cantiere non è un momento a sé, ma parte del progetto. Cerchiamo di ridurre i rifiuti, di riutilizzare le terre di scavo e di progettare in modo che i materiali restino all’interno del ciclo costruttivo. È una questione di coerenza: pensare alla sostenibilità prima di aprire il cantiere significa anche ridurre gli sprechi e migliorare la qualità del risultato finale.

Un altro tema è la sostenibilità nel tempo: come si costruisce oggi pensando alle generazioni future?
Una volta si costruiva per durare, per trasmettere valori. Oggi l’architettura è diventata più effimera, spesso temporanea. Io credo invece nella responsabilità del permanere: l’architettura deve radicarsi, diventare parte del paesaggio, non essere solo un involucro da sostituire dopo vent’anni. Le risorse non sono infinite: serve una cultura del recupero e della persistenza.

Questo discorso si lega anche al rapporto con i clienti e con le maestranze?
Molto. Oggi molti committenti identificano la sostenibilità solo con la performance tecnologica. Ma se manca un progetto solido, ragionato, quella tecnologia non basta. Esiste un certo scollamento culturale: il valore del progetto è sottovalutato, come se fosse secondario. Io cerco di raccontarlo anche in modo ironico sul mio canale Instagram, per far capire che il progetto è il primo atto sostenibile, quello che evita errori e sprechi dopo.

A proposito di tecnologia: come si inserisce il tema degli infissi in questo ragionamento?
L’infisso performante serve, ma solo se inserito in un progetto intelligente. Se io metto una grande vetrata a sud senza protezioni, nessun vetro potrà compensare un errore di orientamento: il condizionatore lavorerà il doppio. Basta invece un albero davanti a quella vetrata per dimezzare i consumi. Gli infissi, come ogni elemento tecnico, sono strumenti preziosi se dialogano con il progetto nel suo insieme. La vera sostenibilità è equilibrio tra intelligenza compositiva e tecnologia consapevole.