Da cielo a terra: il cerchio in viaggio
Critica sentimentale
di Chiara Tartagni – foto di Gianluca Gasperoni
ll sole naviga sulle onde dell’orizzonte. Il cerchio rosso è il passeggero di una barca, sottile e maneggevole, com’è giusto che sia per l’astro che segna le ore diurne. Ma con questa imbarcazione d’oro puro, il dio Ra non diffonde il proprio calore rigenerante solo sulla terra dei vivi. Di notte egli porta la luce anche nell’Oltretomba. Così narrano gli inni rivolti al dio e i libri che raccontano il mondo dei defunti. Siamo nell’antico Egitto, il medesimo luogo in cui un faraone fece una scelta controcorrente in quella cultura politeistica: adorare solo ed esclusivamente Aton, il disco solare, fonte di ogni vita. Una rivoluzione a tal punto radicale da portarlo a scegliere un altro nome per sé stesso, da Amenhotep (“Amon è soddisfatto”) ad Akhenaton (“Orizzonte di Aton”). E sappiamo che cambiare nome significa cambiare destino. Una delle prime forme su cui si posa l’occhio umano è dunque proprio il cerchio, a delimitare la presenza essenziale del nostro sole. Da qui sgorgano i raggi che determinano la nascita di nuova vita e il suo costante rinnovamento. The Sun is God: sono le parole con cui il pittore Joseph Mallord William Turner si accomiatava da questo mondo.
Di strutture circolari sono ricolme le culture di ogni parte del nostro pianeta, nella costruzione simbolica e nella pratica quotidiana.
È quindi un caso che la dottrina buddhista abbia scelto proprio questa forma per chiarire i suoi principi base, fin dalle mura dei templi? La Ruota dell’esistenza è del resto nota anche come Ruota del divenire: se per la mentalità occidentale la linea del tempo è diritta e destinata a interrompersi, cosa che ci incute terrore, essa è invece un ciclo ininterrotto per la visione orientale. Proprio da tale percezione nasce la paura: come sottrarsi a un continuo perpetuarsi di sofferenze? Il moto concentrico è presente anche in Occidente con altre fattezze: la Ruota della Fortuna. Non solo protagonista di quiz contemporanei, essa è fin da tempi ben più antichi il centro pulsante di numerose rappresentazioni. Fra queste spicca l’Arcano X dei tradizionali mazzi di tarocchi. Qui la Ruota è l’ineluttabile avvicendarsi di felicità e dolori, guadagno e perdita, fino alla fine dei giorni terreni. Così la fanno “parlare” Alejandro Jodorowsky e Marianne Costa in La Via dei Tarocchi: «Ho imparato che tutto quello che comincia finisce, e tutto quello che finisce comincia. Ho imparato che tutto quello che si eleva ridiscende, e tutto quello che ridiscende si eleva. Ho imparato che tutto quello che circola finisce per ristagnare, e tutto quello che ristagna finisce per tornare in circolo».
L’immaginario dell’Occidente ci fa incontrare anche una peculiare interpretazione della Creazione: il divino architetto che disegna il mondo con un compasso, concezione spirituale e figurativa che il credo massonico farà proprio. È proprio nell’atto di concepire il creato che William Blake ritrae Urizen, incarnazione della legge e della ragione nella mitologia costruita ex novo dal visionario artista e poeta. A unire quelle che sommariamente possiamo identificare come cultura occidentale e cultura orientale interviene un’arte singolare, che precede il metodo scientifico e a esso si arrenderà: l’alchimia. Unendo conoscenze filosofiche, metallurgiche ed esoteriche, l’alchimia avrebbe consentito di trasmutare i metalli vili in oro, ottenere un sapere illimitato e influire sulla lunghezza della vita fino a raggiungere il traguardo dell’immortalità. Al-kīmiyā’ in lingua araba è proprio la pietra filosofale, catalizzatrice del risanamento della materia. Un obiettivo in cui Carl Gustav Jung legge una relazione con la psicanalisi. L’alchimia è la volontà di coniugare gli opposti per giungere alla liberazione interiore: esattamente lo scopo della psicoterapia. Per Jung, che studiò a lungo gli intrecci culturali fra Occidente e Oriente, il mandala è l’equivalente della quadratura del cerchio, ossia la congiunzione dei contrari. L’incontro fra opposti nei testi alchemici viene tradotto in immagini mostrando l’unione fra donna e uomo, Luna e Sole.
Eccoci tornati al primo punto espanso della nostra vita di specie, il primo potente cerchio che ha colpito il nostro sguardo. Dato che tutti noi abbiamo diritto di godere dei raggi solari, il cerchio ci ricorda che abbiamo anche pari diritti di espressione, possibilità, espansione.
Rotonda è la leggendaria Tavola a cui sedevano Re Artù di Camelot e i suoi cavalieri. Vediamo così un’altra sfumatura dell’identità circolare: l’assenza di gerarchie, la distribuzione coerente ed egualitaria del potere. In una tavola rotonda non esistono posizioni d’onore o motivi d’emarginazione. Tutti hanno il proprio posto. L’assenza di privilegio non è però necessariamente equivalente a un beneficio. Può esservi uguaglianza anche nella repressione e nella prigione della Storia. Lo sapeva bene un regista che della circolarità ha fatto la propria firma concettuale e stilistica: Stanley Kubrick. Basta dare uno sguardo a tutta la sua opera cinematografica per notare che essa è caratterizzata dalla stessa maestosa, opprimente grandezza dei progetti di Étienne-Louis Boullée. La forma sferica del suo cenotafio per Isaac Newton, mai realizzato, è la perfetta rappresentazione dell’anima settecentesca, che al terrore della fine risponde con il dominio formale. In Kubrick la circolarità è incapacità di evolversi. Non è un caso che proprio il XVIII secolo finisca per essere anche il nostro futuro. Così infatti si conclude la vicenda umana di Bowman in 2001: Odissea nello spazio (1968): in una stanza dalle atmosfere neoclassiche.
Proprio il cerchio è la forma geometrica dominante nel film che ha rivoluzionato la fantascienza. Come non pensare a HAL 9000, l’occhio vigile, perturbante e fallibile che è un’emanazione dell’occhio cinematografico? In cerchio si muovono i prigionieri di Arancia meccanica (1971), durante l’ora d’aria loro concessa. Un movimento ulteriormente sottolineato dal cerchio bianco tracciato sulla pavimentazione. A questa scena pare abbia dato spunto La ronda dei carcerati (1890) di Vincent Van Gogh, a sua volta reinterpretazione di un’incisione di Gustave Doré (Newgate: The Exercise Yard, 1872). È qui che vediamo tutta la potenza di un moto eterno che non va però da nessuna parte, che si innesta e si esaurisce in sé. È l’implosione interiore data dalla separazione dal resto del mondo, dall’isolamento e dall’alienazione. È l’asfissia della circolarità. È l’uroboro, il serpente alchemico che si morde
la coda a simboleggiare l’eterno ritorno necessario a raggiungere la perfezione, ma anche un cerchio magico che protegge e difende.
Sì, perché il cerchio è anche sicurezza, onestà, essenza umana. È legame fecondo con ciò che ci circonda. L’anello nuziale non è forse un cerchio? E non si dice ancora oggi che fra le persone può scattare una certa “alchimia”? Le parole di Bruno Munari sono come sempre auspicio e suggello: «In natura il cerchio lo troviamo facilmente, basta gettare un sasso nell’acqua calma. La sfera invece nasce spontaneamente dalle bolle di sapone. Gli alberi crescono secondo un andamento circolare concentrico: una sezione ne mostra gli anelli. Un cerchio fatto a mano ha dimostrato la bravura di Giotto. La prima cosa che disegna un bambino assomiglia al cerchio. La gente si dispone spontaneamente in cerchio quando deve osservare qualcosa da vicino, provocando la nascita dell’arena, del circo, dei recinti di borsa». E quando le persone assumono in modo del tutto naturale tale forma, lo fanno proponendosi le stesse possibilità per tutti. Il cerchio è pura uguaglianza, flusso costante, movimento compiuto eppure infinito. L’unione di opposti in un elemento unico, yin e yang, il lato in ombra e il lato soleggiato della collina. La consapevolezza che la parità è naturale e autentica, ma anche un equilibrio di cui prendersi la responsabilità.
*Fonti: Alejandro Jodorowsky, Marianne Costa, La Via dei Tarocchi, Feltrinelli 2005 – Carl Gustav Jung, Psicologia e alchimia, Bollati Boringhieri 2006
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